sabato 7 giugno 2014

Sul prendersi fottutamente sul serio

-Premessa : nessuno si offenda. Perche' il punto sta proprio qui.-

Sono anni che mi interrogo sul perche'  la mia produzione incontinente di scribana incompresa subisca un’ impennata in corrispondenza delle mie partenze. Taccuini che si riempiono di saggezza low cost. Impressioni di settembre, di ottobre e di novembre. Note a margine sulle pagine dei libri, spesso pure a penna, cosa proibitissima. Flussi di incoscienza appesi sulle righe, tra le righe, sui quadretti.

Certo, avra’ in buona misura a che fare con la novita’; le nuove sfide, la metafora del viaggio, l’entusiasmo delle cose impacchettate, ancora da scartare.

Ma temo, ahime’, abbia particolarmente a che fare con il problema del prendersi fottutamente sul serio. Gia’ di mio appartengo ad una categoria di essere umani propensi a questo brutto vizio: noi giovani donne di belle speranze senza fissa dimora, vagabonde  per scelta, abbastanza istruite, ne’ brutte ne’ stupide. Noi fanciulle dal trolley facile, abbonate alle relazioni a tempo determinato ed al precariato emotivo. Noi romantiche post-contemporanee; noi ed i nostri cuori gonfi d’amore pronto per venir sparpagliato goffamente tutt'attorno, sempre troppo o troppo poco.

Gli stereotipi si sprecano, e l’apice di tutto cio’ viene raggiunto grazie al momento catartico della partenza purificatrice e rigenerante: la giovane donna mette in borsa svariati libri, il Labello, un po’ di cervello e tanto cuore, ed e’ pronta per una nuova avventura. Una combo micidiale.

So che ci riconoscete con facilita', quando sedete vicino a noi su un volo Ryanair.

E se faticate a riconoscerci, vi posso aiutare: il volo non dura piu’ di due ore, ma noi abbiamo ritenuto opportuno occupare il poco spazio vitale a nostra (e vostra) disposizione con una media di due quotidiani, tre libri ed una rivista. Nel passaggio illogico e a tratti isterico dall’uno all’altro ci impiastricciamo la bocca di Labello, che volare disidrata i tessuti.
Abbiamo sempre sulla punta della lingua formule magiche pallosissime come indipendenza, parita’ dei sessi, uguaglianza, quote rosa (brrrr, no quote rosa no, sarebbe troppo anche per me). Ma  proviamo al tempo stesso un piacere incontenibile nel fare una torta, o nel constatare come il nuovo rimmel sia per davvero waterproof. In soldoni: paghi tu la cena? Fingero’ di offendermi in maniera molto convincente. Non paghi tu la cena? Mi offendero’ per davvero, ma senza darlo a vedere.

Non esiste soluzione, per ora. Ma prometto che ne usciremo.

Comunque, il problema raggiunge dimensioni ingestibili con lo sbarco nella citta’ che, per eccellenza, si prende fottutamente sul serio: mesdames et messieurs, benvenuti a Bruxelles. Credevo si trattasse di leggende metropolitane, ma no! E’ tutto terribilmente vero. La citta’ pattina su sottili equilibri fatti di istituzioni, organizzazioni no profit, abiti da ufficio, cocktails, meteo estremamente variabile e follia collettiva. 

A Bruxelles si fa networking. L’accento e’ sulla o, e la erre e’ ben marcata. Networrrrking. Inutile perdere tempo a cercare di capire cosa il vostro interlocutore  intenda dire concretamente con “sono policy advisor, ma ho un background in media communication”. Sorridere ed annuire, puo’ bastare. Non domandarci la formula che mondi possa aprirti.

Il guaio e’ che ci si prende gusto. Pattinare leggeri sul vuoto in giacca e cravatta e’ allegro, piacevole, assuefante. L’insostenibile leggerezza dell’essere.

Ironia della sorte: per via di una serie di coincidenze, il periodo appena precedente alla mia partenza era coinciso con una crisi di valori senza eguali. Mi sentivo piu’ hippie che mai, pronta ad affrontare a testa alta e con fiori nei cannoni la citta’ grigia e cattiva. Avevo diversi progetti ambiziosi: la pace nel mondo, la cancellazione del debito africano, la decrescita felice, la ceretta per tutte a prezzi popolari; oltre ad una serie di articoli (che sarebbero stati letti  come sempre solo da amici stretti e parenti) sulla Bruxelles inaspettata  che sta dietro ai palazzoni malvagi; un’ipotetica Bruxelles fatta di artisti sognatori, sandali, erba umida, profumo di cibo vegan.

Non mi avranno, dicevo. Cambiero’ il sistema dall’interno. 
Ma Bruxelles e’ cosi’, ti fa entrare dolcemente nel suo abbraccio , ti compra a rate, ti corrompe silenziosamente la coscienza.  All’improvviso ti trovi a districarti agilmente tra le pieghe delle sue contraddizioni. Il sogno hippie e’ sfumato. Ora fai networking anche tu e cedi al fascino di successo, giacca e cravatta.

Ci tengo a dirlo: in questa citta’ si sta bene. Ci sono entrambe, energia da metropoli e dimensione umana. Tanti parchi, birra buona, luce fino a tardi. C’e’ un incredibile potenziale di menti, idee e rivoluzioni inespresse. Il problema vero sta sempre li’: in quella brutta tendenza a prendersi fottutamente sul serio. A crogiolarsi nelle chiacchiere mettendo in un angolo il mondo vero.

Sono stata ad una giornata di conferenze organizzate in occasione della Green Week, un grande evento su tematiche eco e sviluppo sostenibile. Un programma denso ed accattivante, ospiti che promettevano di sapere il fatto loro. Le carte in regola c’erano tutte: location cool e sconfinata per un pubblico altrettanto cool e sconfinato, tanti soldini a disposizione, Mamma UE garante e quindi potenzialmente capace di attrarre visionari, geni, cervelloni. Io ero entusiasta, pronta a sentirmi rivelare l'equazione per distribuire meglio le risorse, per sprecare meno acqua, per rendere piu’ etico il ciclo industriale.  Piu’ realisticamente, ero felice alla prospettiva di qualche bel dibattito critico e costruttivo, che desse da pensare.

Potrei riassumere cosi’ il contenuto delle conferenze a cui ho avuto l’onore di partecipare (ma se qualcosa non risultasse chiaro, un sussidiario di terza elementare potrebbe rivelarsi un valido supporto sull’argomento): dovremmo riciclare di piu’, le risorse stanno finendo, e’ ora di puntare su nuovi tipi di energia, non c’e’ piu’ tempo da perdere.
Grazie a tutti gli ospiti. Applausi! 
Le porte si spalancano, la gente si guarda attorno aggressiva, e’ arrivato il momento d’oro, e’ l’ora del networking. 
Vassoi di tartine, fiumi di vino, nouvelle cousine in eleganti piattini.
Venghino signori, qui si mangia, si beve e nun se paga.
I ghiacciai si stanno sciogliendo? Ora non importa. Ci penseremo piu’ tardi. Siamo il venti per cento della popolazione che usa l’ottanta per cento delle risorse e ce ne vantiamo, abbuffandoci di dolcetti.

La sacra ora del networking mi da da pensare: io non ho dei biglietti da visita! Fare del networking senza biglietti da visita vuol dire partire svantaggiati, tagliarsi fuori dai giochi, perdere in partenza. E la vera domanda e’: se anche li avessi, cosa ci sarebbe scritto sopra? Non sono esperta in nulla, non ho particolari qualifiche, non ho un titolo interessante. Cio’ che non siamo, cio’ che non vogliamo.

Ma finalmente, dopo diverse notti insonni, e’ con felicita’ ed emozione che posso rendere pubblico che si', ce l'ho fatta, ho anche io dei biglietti da visita.


Studentessa. Stagista. Adoro le poltrone e pulire casa con la pianta dei piedi. I'm a cat person.

Abbracciami finche’ vuoi Bruxelles, ma io tengo coscienza e cervello ben aperti.

Complicated yet nice female human being.


(Si ringraziano: Montale, Kundera, il Labello)



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