mercoledì 18 settembre 2013

Indovina chi è diventata maestra


Le cose hanno preso una piega inaspettata. Entrata in una scuola del luogo domandando lezioni di arabo, ne sono uscita con una proposta di lavoro come insegnante di inglese. Ero frastornata. Sono cresciuta e continuo a barcamenarmi nell'Europa delle infinite ere da stagista. Il mio senso di gratitudine si accende naturalmente anche solo nell'eventualità che qualcuno mi risponda dicendo che no, al momento non ci sono progetti di internship in programma. Che gentili a personalizzare la mail col mio nome! Mi sforzo affinché le parole mi plasmino, cerco di raccontarmi come nelle aspettative dell'annuncio, invio lettere di motivazione e referenze piene di ossequi pregando che mi venga offerto un full- time a costo zero. Quando otterrò il mio primo impiego con rimborso spese a 500 euro proverò probabilmente ad insistere per farmi abbassare la paga (siete sicuri non sia un po' troppo?), e poi magari mi offrirò di fare qualche straordinario perché nulla di quei soldi venga regalato.
Lungi da me il fare la vittima, ci rido su. Così imparo e la prossima volta nasco più imparata.

Ed invece quel giorno io avevo domandato i costi delle lezioni di arabo (pensavo si trattasse di un centro linguistico) e la preside mi aveva offerto un lavoro e mi diceva che se volevo potevo iniziare da subito.
Non ho mai pensato di insegnare, non rientra tra i miei piani per il futuro. Ma ricevere una proposta di lavoro così, senza averlo neppure cercata, rapportarmi ad un viso sorridente che sembrava leggere del potenziale in quel pezzettino di carta che è la mia laurea, tutto questo mi lusingava in maniera commovente e mi sono presa un giorno per pensare e gongolarmi.

Alla fine ho detto di no, un lavoro vero non lo potevo accettare perché avrebbe rubato troppo tempo all'internship (non pagata), ed è grazie a questa internship che mi viene assicurata una casa nella zona, e quindi anche la possibilità di essere vicina alla scuola. Mi sono comunque offerta di dare qualche ora di lezione in cambio di un po' di conversazione di arabo. In più, e mi sono brillati di nuovo gli occhi, la preside mi ha offerto una mancia mensile con la quale coprirò più o meno le spese di una settimana.
(Scrivo e tengo tutto bene a mente per non dimenticare: proposta di lavoro pagato declinata per proseguire la mia carriera nel non-retribuito. )

Così sono diventata la Miss Silvia from Europe di questa scuola privata in cui spirito conservatore e tecnologia vanno a braccetto, un perfetto riassunto di quella parte del mondo arabo che indulge all'islamismo twittato.
Mi sono rifiutata di mentire circa la mia nazionalità anche se la preside ritiene darebbe un tocco di prestigio all'istituto se io mi presentassi come inglese. Anche l'idea di dare risposte vaghe e misteriose come “vengo dall'Europa” mi sembra cretina, nonostante la preside ci abbia tenuto a farmi notare che non sarebbe un bugia.
La scuola è grande e nuova, stona con le macerie che la circondano e con i cumuli di spazzatura che vengono bruciati di fronte all'ingresso sprigionando ventate di diossina. A parte questo, posso dire con invidia di non aver avuto la fortuna di diventare grande in una scuola talmente bella: ci sono i banchi di legno, ancora profumati di nuovo; c'è la caffetteria che vende un sacco di cibo confezionato malsano e squisito, ed un laboratorio multimediale con schermo piatto che ricopre mezza parete; c'è un laboratorio di scienze attrezzatissimo di quelli che si vedono nei film, e c'è una sala computer con computer appena usciti dagli imballaggi. C'è perfino un ambulatorio con dottoressa a tempo pieno.
 Il tutto si accompagna ad uno spirito religioso urlato cubitale ed a colori sui muri. “Dobbiamo pregare ogni giorno Allah e ringraziarlo di averci fatti musulmani”, recita la parete d'ingresso in inglese. I programmi prevedono tante ore di lezione di Corano quante sono le ore di arabo insegnate, e gli avvisi stampati per i genitori li congedano dicendo “speriamo che durante questo anno scolastico vostro figlio raggiunga il massimo dei risultati inshallah”. Inshallah, inshallah, inshallah, se dio vuole. Ci vediamo domani inshallah, salutano le colleghe. Guarirai presto dalla tua infezione all'occhio inshallah. Non intendo perdermi in un'inutile disquisizione teologica che non avrei gli strumenti per affrontare, ma ammesso che ci sia, questo Dio, che sia davvero il caso di chiamarlo in causa per tutte queste stupidaggini? Per quanto riguarda il cercare di sopravvivere all'indomani incolumi, o il farsi curare una congiuntivite, credo che potremmo essere perfettamente in grado di cavarcela da soli tra di noi, umani, ossa e cervello.

La preside scruta il mondo da dietro un paio di occhialini tondi e porta sempre il velo azzurro, mi ricorda una delle suore del mio asilo. Proprio come una suora ha dedicato la sua vita ai suoi bambini ed alle sue maestre, ci dice orgogliosa di sentirsi la mamma di tutti noi, è gentile, pronta all'ascolto, un po' bigotta ma assolutamente fedele ai propri principi e a quello in cui crede, senza ipocrisie.
Il capo supremo è un uomo ciccione con dei baffi arricciati ed una sigaretta sempre tra le labbra; ha qualcosa di sgradevole nei modi e sono contenta di non doverci avere troppo a che fare.
Purtroppo, però, ha generato parecchia prole.

La scuola ha una gestione familiare dall'assetto inspiegabile. Il preside si è malauguratamente riprodotto in copie di se stesso più grasse e molto più ignoranti. Tutta la famiglia bighellona per i corridoi senza un incarico specifico. 
Uno avrà qualche anno più di me e mi fa da scagnozzo. Non sembra molto portato né formato per il mondo dell'insegnamento, non che io lo sia in fin dei conti. Eppure pare trovarsi a proprio agio nel ruolo di mio personale mentore dell'educazione. Nei momenti più inaspettati si affaccia alle finestre che dai corridoi danno nelle classi e mi interrompe.
Story? Story!
Sì, sono stata incaricata di leggere dei libretti di favole nelle classi, ed i bambini più piccoli ne sono contenti. Ma coi ragazzini più grandi ho deciso di fare un po' di conversazione, visto che non mi sono sembrati troppo entusiasti di sentirsi ripetere come i tre porcellini siano sopravvissuti al lupo. Ne ho parlato con la preside, che si è detta d'accordo. L'ho spiegato anche al mio scagnozzo, diverse volte. Peccato che lui, il figlio primogenito del proprietario di una prestigiosa scuola di lingue, l'inglese non lo capisca nemmeno un po'.
Ed immancabile torna ad affacciarsi dal corridoio.
Story?
Il secondogenito del capo è un ragazzino in piena crisi ormonale con folti baffetti neri e capelli impomatati di brillantina; davanti al padre fa il serio ma poi mi si avvicina sornione, i baffetti neri che si curvano all'insù.
You have boyfriend?
Il più piccolo è uno dei miei studenti, ahimè il peggiore della sua classe. Ad ogni domanda, compresa la più semplice, si alza in piedi, sorride beffardo e risponde “Ah?”
La famiglia ha introiettato senza dubbio un certo ermetismo comunicativo, ma non c'è da andarne fieri.

Ognuno merita il proprio momento di gloria e popolarità, nella vita. Sarebbe bello poterla avere tutti da adolescenti, quando a popolarità e gloria si dà tanto peso. Il mio momento di gloria, con un certo ritardo, è combaciato con la mia prima settimana come insegnante di inglese presso la Alomram Language School, Giza. Ho ricevuto diversi aeroplanini coi cuori, una grande quantità di abbracci, convenevoli dalle famiglie ed inviti in club sportivi esclusivi.
Ho detto a mia madre che non avrebbe più nulla da lamentarsi circa il sistema scolastico italiano se avesse a che fare per qualche giorno con i genitori che iscrivono i bambini qui.
Classe media non troppo colta ma bacchettona, questa schiera di trentenni invecchiati presto svolge una vera e propria attività di stalking a tempo pieno circa l'operato della scuola e dei suoi insegnanti. Seppur con infinita gentilezza, ampi sorrisi e modi squisiti, questi genitori affamati di successo per i propri bambini cercano di intrufolarsi in ogni spazio lasciato libero al loro occhio attento. Spesso si improvvisano esperti di lingue, matematica, scienze. Ho assistito a dieci minuti di sfuriata in arabo da parte di una madre che si lamentava dell'insegnante di inglese dell'anno prima del figlio, a sua detta colpevole di avere un pessimo accento. La signora, ovviamente, non parlava una parola di inglese. Una coppia di genitori dall'aria preoccupata ha chiesto di parlare col preside perché, a loro avviso, la ricreazione avrebbe dovuto essere di venti minuti anziché quindici.

Dopo infinite discussioni, i capi hanno deciso di imporci una divisa. Visto che la scelta del nero sarebbe scivolata in troppi cliché, si è optato per dei camici bianchi da dottore (le mie amiche riderebbero conoscendo la mia avversione per ospedali e medici). Il tutto rende l'atmosfera surreale, soprattutto quando ad indossare il camice è l'insegnante di Corano, l'unica in tutta la scuola a portare il niqab con tanto di guantini scuri corredati.

I bambini sono uguali a tutti i bambini del mondo per i quali la scuola non è un privilegio ma una scontata routine. C'è la secchiona, l'antipatico, quello che legge male. Io mi identifico molto con quelli che non ridono mai quando faccio il giullare e che alzano raramente la mano; alle elementari detestavo le lezioni di conversazione e non le trovavo per nulla divertenti.
In generale, mi sento più rilassata in mezzo a loro che coi loro genitori, anche quando decidono di non ascoltarmi e non mi riconoscono un minimo di autorità. Non sono ancora rimasti incastrati nella convenzione, nelle aspettative collettive, nei pregiudizi. Sono curiosi e spontanei, ridono quando non si dovrebbe ridere, sono politicamente scorretti, sono buoni o cattivi senza fingere.
Senza farlo di proposito, mi tolgono la voce e mi donano qualche soddisfazione. Alla domanda “what's your favourite subject?” mi sono sentita rispondere “My favourite subject is Miss Silvia”. Così sbagliato e così dolce!






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