martedì 27 agosto 2013

dove finisce l'asfalto

APPUNTI DEL 23 AGOSTO
Questa Giza è molto diversa da come l'avevo immaginata. Non è la Giza che si aggrappa alla città ma quella che si tuffa nel deserto. Lasciata alle spalle una larga via trafficata, una delle tante, la strada si fa sabbia. Cambiano suoni ed odori, sembra ci sia più luce, gli asini avanzano di fianco alle macchine. Il centro abitato a cui ci appoggiamo per le spese giornaliere pare non essersi accorto di come è cambiata la città al suo fianco; distende le ore su ritmi ciclici rilassati e ben conosciuti. Nulla a che vedere con Helipolis. Qui le tradizioni mostrano radici ben più solide e poco del resto del mondo sembra interessare alla gente del posto. O forse hanno tutti quanti altro a cui pensare. Gli uomini fumano la shisha e giocano a blackgammon attorno a tavolini in legno che fanno da spartitraffico, le donne mostrano appena lo sguardo dietro ai veli pesanti, i bambini siedono di fianco ai mucchi di spazzatura.
La società per cui mi trovo qui, che è anche la mia casa, svetta altezzosa ed inattesa a pochi passi da tutto questo, col suo edificio quadrato di mattoni ed il suo bel giardino di palme e fiori. Le ambizioni di design moderno ed il gusto egiziano culminano in un risultato bizzarro e discutibile. Le finestre grandi inondano di luce un susseguirsi di uffici, stanze ariose, salottini, sale conferenze. E' quasi tutto vuoto. Questo è uno di quei posti che da bambina mi avrebbero fatta impazzire di gioia e di paura, ci avrei ricamato sopra storie e misteri chiusi a chiave. Fedele ai miei vizi d'infanzia giro per queste grandi stanze in cui rimbombano i passi e faccio attenzione ai dettagli, ci cerco i segni di un passato di successo, quando quelle sale dovevano essere tutte piene e gli uffici al lavoro senza sosta. Alle pareti sorridono felici in posa da foto di gruppo le decine di impiegati annuali. Di loro restano due receptioniste, una donna delle pulizie e qualche guardiano. Il capo, una signora egiziana che nella zona raccontano essere ricca ed influente, non si è ancora fatta vedere. Al suo posto prende forma poco distante una villa di cui si dice lei abbia commissionato la costruzione. Mi chiedo chi sia questa benefattrice di cui tutti parlano con rispetto, potente, influente, colta, forse un po' spregiudicata nel suo ruolo di buona. Ci invia mail generiche ed ampiamente interpretabili, ci rifila le cose noiose di cui non si vuole occupare. E' gentile ma fredda. Sembriamo essere l'ultimo dei suoi pensieri.
Siamo rimaste solo in due, io e Daria. Gli altri se ne sono andati senza che io abbia avuto troppo tempo per averci a che fare. Daria è molto giovane e mi ricorda me stessa qualche anno fa, quando la forma valeva più della sostanza. Ma è gentile e ci facciamo una compagnia spesso silenziosa.
La sera del mio arrivo abbiamo camminato al buio verso il centro dell'abitato poco distante. L'aria sa di sabbia ma la sera diventa fresca. Qui vicino nessuno sembra aver preso troppo sul serio la storia del coprifuoco. Dopo cena l'incrocio tra le due strade di sabbia diventa una piazza di paese e ne adotta i rituali tipici. I ragazzi si raggruppano attorno ai motorini ed i bambini girano divisi in bande. Le bambine si muovono graziose ed un po' vanitose in un gruppo a sé stante che guarda i maschi da lontano. Le donne adulte hanno l'aria di non aver ancora finito le commissioni della giornata, escono da una porta e rientrano da un'altra poco lontana, mentre gli uomini continuano a fumare in cerchio. Qui ritrovo qualcosa che appartiene al mio personale immaginario dell'Italia povera di tanti anni fa. E' sciocco da dire, ma mi ha stupita notare come nessuno sembri particolarmente infelice.
Quella sera eravamo due ragazze alte e bianche, un ragazzo di Honk Hong ed un inglese pakistano sbucati dalla sabbia. Ci guardavano con uno stupore che pensavo si riservasse ad altre cose. Le bambine ci avvicinavano intimidite, la più impavida faceva un passo in più e srotolava un whatsyourname tutto attaccato, subito dopo scappava ridendo senza aspettare una risposta. Poi si sono fatte più coraggiose, e alla nostra domanda su quali fossero i loro nomi hanno fatto a gara per chi dovesse rispondere prima. I bambini sembravano più interessati al ragazzo di Honk Hong di cui trovavano particolarmente divertenti i tratti somatici. Gli giravano attorno tirandosi gli occhi a mandorla e lo deridevano senza tentare di nasconderlo. Vigeva un' interessante forma di nonnismo per la quale dopo un po' arrivavano i ragazzini più grandi, sgridavano i piccoli per averci disturbati e si piazzavano allo stesso posto loro stessi, fissandoci.
Daria ha iniziato a scattare fotografie in giro ed i bambini si muovevano in gruppo ovunque lei spostasse l'obiettivo. Poi un uomo basso e largo si è arrabbiato perché ha creduto di essere stato fotografato. Si è avvicinato e ha chiesto a Daria di consegnargli la macchina. Daria gli ha fatto capire di non averne intenzione e lui ha iniziato ad essere aggressivo. Si è creato un raggruppamento di uomini attorno a noi e tutti hanno iniziato ad urlare e prendersi a spintoni, gli amici dell'uomo arrabbiato contro tutti gli altri e viceversa. Ci siamo fatti largo nella nuvola di polvere e ce la siamo squagliata lasciandoci dietro lo scompiglio che avevamo generato. Il giorno dopo abbiamo saputo da uno dei guardiani che l'uomo largo ed i suoi amici si erano insospettiti per via delle belle macchine che portavamo al collo (io no, personalmente. Non ho neppure una digitale compatta e lo smartphone si è spento per sempre); ma soprattutto li aveva allarmati l'aspetto di Jamir, la sua carnagione grigiastra, la sua barba lunga e la camicia ampia di lino. Ci avevano scambiati per un gruppo di giornalisti venuti a curiosare, e quello che peggiorava la nostra posizione ai loro occhi era il fatto che fossimo un gruppo di giornalisti venuti a curiosare scortati da un fratello musulmano, Jamir. Mi fa molto ridere pensare a come il suo look da hipster metropolitano in fuga nel deserto qui possa prestarsi a simili interpretazioni.

I guardiani sono sorridenti e pieni di attenzioni, parlano solo arabo ma sembrano tenerci alla comunicazione. Mohammed si spiega con le mani e quando si convince che io abbia capito torna alle parole. Ed io ovviamente non ci capisco niente. Ogni tanto gli spiego qualcosa in inglese, lentamente, poi di colpo gli brillano gli occhi e soddisfatta penso che mi abbia compresa ma invece no, si gira dall'altra parte, racconta agli altri quello che crede io abbia detto ed è allora che mi accorgo che non ci ha capito un bel nulla. 

Un altro di loro, Aamir, quello che un po' di inglese lo parla e che racconta fiero che i suoi figli sono tutti Dottori, interrompe sempre la mia corsetta serale dietro casa per farmi parlare al telefono con sconosciuti italiani suoi amici. Sono sempre telefonate molto imbarazzanti durante le quali né io né i miei interlocutori sappiamo bene cosa dirci. Ma so che ad Aamir fa piacere e quindi mi presto al gioco sorridente. Ieri sera aveva voglia di chiacchierare ed io gli ho dato corda anche se non vedevo l'ora di tornare in camera per farmi una doccia. Si è proposto di accompagnarci al centro commerciale, a vedere i cavalli ed alle piramidi. Every time, every time Silvia. But please Silvia don't taLk to people because people like to talk too much. Poi si è fatto tutto serio. Why newspapers in europe talk good about the Muslim Brothers? Muslim Brothers is very very bad. I don't understand why the newspapers say good about them and like them so much.
Una riga che aggiungo alla lista delle cose da fare prima di lasciare l'Egitto, assieme a vedere la Sfinge e raggiungere il mare, è riuscire a rispondere a Aamir, e voglio che sia una risposta soddisfacente per entrambi.

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