APPUNTI DEL 23 AGOSTO
Questa Giza è molto diversa da come l'avevo
immaginata. Non è la Giza che si aggrappa alla città ma quella che
si tuffa nel deserto. Lasciata alle spalle una larga via trafficata,
una delle tante, la strada si fa sabbia. Cambiano suoni ed odori,
sembra ci sia più luce, gli asini avanzano di fianco alle macchine.
Il centro abitato a cui ci appoggiamo per le spese giornaliere pare non essersi accorto di come è cambiata la città al suo fianco;
distende le ore su ritmi ciclici rilassati e ben conosciuti. Nulla a
che vedere con Helipolis. Qui le tradizioni mostrano radici ben più
solide e poco del resto del mondo sembra interessare alla gente del
posto. O forse hanno tutti quanti altro a cui pensare. Gli uomini
fumano la shisha e giocano a blackgammon attorno a tavolini in legno
che fanno da spartitraffico, le donne mostrano appena lo sguardo
dietro ai veli pesanti, i bambini siedono di fianco ai mucchi di spazzatura.
La società per cui mi trovo qui, che è anche la mia
casa, svetta altezzosa ed inattesa a pochi passi da tutto questo, col
suo edificio quadrato di mattoni ed il suo bel giardino di palme e
fiori. Le ambizioni di design moderno ed il gusto egiziano culminano
in un risultato bizzarro e discutibile. Le finestre grandi inondano
di luce un susseguirsi di uffici, stanze ariose, salottini, sale
conferenze. E' quasi tutto vuoto. Questo è uno di quei posti che da
bambina mi avrebbero fatta impazzire di gioia e di paura, ci avrei
ricamato sopra storie e misteri chiusi a chiave. Fedele ai miei vizi
d'infanzia giro per queste grandi stanze in cui rimbombano i passi e
faccio attenzione ai dettagli, ci cerco i segni di un passato di
successo, quando quelle sale dovevano essere tutte piene e gli uffici
al lavoro senza sosta. Alle pareti sorridono felici in posa da foto
di gruppo le decine di impiegati annuali. Di loro restano due
receptioniste, una donna delle pulizie e qualche guardiano. Il capo,
una signora egiziana che nella zona raccontano essere ricca ed influente, non si è ancora fatta vedere. Al suo posto prende forma poco
distante una villa di cui si dice lei abbia commissionato la
costruzione. Mi chiedo chi sia questa benefattrice di cui tutti
parlano con rispetto, potente, influente, colta, forse un po'
spregiudicata nel suo ruolo di buona. Ci invia mail generiche ed
ampiamente interpretabili, ci rifila le cose noiose di cui non si
vuole occupare. E' gentile ma fredda. Sembriamo essere l'ultimo dei
suoi pensieri.
Siamo rimaste solo in due, io e Daria. Gli altri se
ne sono andati senza che io abbia avuto troppo tempo per averci a che
fare. Daria è molto giovane e mi ricorda me stessa qualche anno fa,
quando la forma valeva più della sostanza. Ma è gentile e ci
facciamo una compagnia spesso silenziosa.
La sera del mio arrivo abbiamo camminato al buio
verso il centro dell'abitato poco distante. L'aria sa di sabbia ma la
sera diventa fresca. Qui vicino nessuno sembra aver preso troppo sul
serio la storia del coprifuoco. Dopo cena l'incrocio tra le due strade
di sabbia diventa una piazza di paese e ne adotta i rituali tipici. I
ragazzi si raggruppano attorno ai motorini ed i bambini girano divisi
in bande. Le bambine si muovono graziose ed un po' vanitose in un
gruppo a sé stante che guarda i maschi da lontano. Le donne adulte
hanno l'aria di non aver ancora finito le commissioni della giornata,
escono da una porta e rientrano da un'altra poco lontana, mentre gli
uomini continuano a fumare in cerchio. Qui ritrovo qualcosa che
appartiene al mio personale immaginario dell'Italia povera di tanti
anni fa. E' sciocco da dire, ma mi ha stupita notare come nessuno
sembri particolarmente infelice.
Quella sera eravamo due ragazze alte e bianche, un
ragazzo di Honk Hong ed un inglese pakistano sbucati dalla sabbia. Ci
guardavano con uno stupore che pensavo si riservasse ad altre cose.
Le bambine ci avvicinavano intimidite, la più impavida faceva un
passo in più e srotolava un whatsyourname tutto attaccato, subito
dopo scappava ridendo senza aspettare una risposta. Poi si sono fatte
più coraggiose, e alla nostra domanda su quali fossero i loro nomi
hanno fatto a gara per chi dovesse rispondere prima. I bambini
sembravano più interessati al ragazzo di Honk Hong di cui trovavano
particolarmente divertenti i tratti somatici. Gli giravano attorno
tirandosi gli occhi a mandorla e lo deridevano senza tentare di nasconderlo.
Vigeva un' interessante forma di nonnismo per la quale dopo un po'
arrivavano i ragazzini più grandi, sgridavano i piccoli per averci
disturbati e si piazzavano allo stesso posto loro stessi, fissandoci.
Daria ha iniziato a scattare fotografie in giro ed i
bambini si muovevano in gruppo ovunque lei spostasse l'obiettivo. Poi
un uomo basso e largo si è arrabbiato perché ha creduto di essere
stato fotografato. Si è avvicinato e ha chiesto a Daria di
consegnargli la macchina. Daria gli ha fatto capire di non averne
intenzione e lui ha iniziato ad essere aggressivo. Si è creato un
raggruppamento di uomini attorno a noi e tutti hanno iniziato ad
urlare e prendersi a spintoni, gli amici dell'uomo arrabbiato contro
tutti gli altri e viceversa. Ci siamo fatti largo nella nuvola di
polvere e ce la siamo squagliata lasciandoci dietro lo scompiglio che
avevamo generato. Il giorno dopo abbiamo saputo da uno dei guardiani
che l'uomo largo ed i suoi amici si erano insospettiti per via delle
belle macchine che portavamo al collo (io no, personalmente. Non ho
neppure una digitale compatta e lo smartphone si è spento per
sempre); ma soprattutto li aveva allarmati l'aspetto di Jamir, la
sua carnagione grigiastra, la sua barba lunga e la camicia ampia di
lino. Ci avevano scambiati per un gruppo di giornalisti venuti a
curiosare, e quello che peggiorava la nostra posizione ai loro occhi
era il fatto che fossimo un gruppo di giornalisti venuti a curiosare
scortati da un fratello musulmano, Jamir. Mi fa molto ridere
pensare a come il suo look da hipster metropolitano in fuga nel
deserto qui possa prestarsi a simili interpretazioni.
I guardiani sono sorridenti e pieni di attenzioni,
parlano solo arabo ma sembrano tenerci alla comunicazione. Mohammed
si spiega con le mani e quando si convince che io abbia capito torna
alle parole. Ed io ovviamente non ci capisco niente. Ogni tanto gli
spiego qualcosa in inglese, lentamente, poi di colpo gli brillano gli
occhi e soddisfatta penso che mi abbia compresa ma invece no, si gira
dall'altra parte, racconta agli altri quello che crede io abbia detto
ed è allora che mi accorgo che non ci ha capito un bel nulla.
Un altro di loro, Aamir, quello che un po' di inglese
lo parla e che racconta fiero che i suoi figli sono tutti Dottori,
interrompe sempre la mia corsetta serale dietro casa per farmi
parlare al telefono con sconosciuti italiani suoi amici. Sono sempre
telefonate molto imbarazzanti durante le quali né io né i miei
interlocutori sappiamo bene cosa dirci. Ma so che ad Aamir fa piacere
e quindi mi presto al gioco sorridente. Ieri sera aveva voglia di
chiacchierare ed io gli ho dato corda anche se non vedevo l'ora di
tornare in camera per farmi una doccia. Si è proposto di
accompagnarci al centro commerciale, a vedere i cavalli ed alle
piramidi. Every time, every time Silvia. But please Silvia don't
taLk to people because people like to talk too much. Poi si è
fatto tutto serio. Why newspapers in europe talk good about the
Muslim Brothers? Muslim Brothers is very very bad. I don't understand
why the newspapers say good about them and like them so much.
Una riga che
aggiungo alla lista delle cose da fare prima di lasciare l'Egitto,
assieme a vedere la Sfinge e raggiungere il mare, è riuscire a
rispondere a Aamir, e voglio che sia una risposta soddisfacente per
entrambi.
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