lunedì 19 agosto 2013

le chiacchiere da bar sono sottovalutate

APPUNTI DEL 17 AGOSTO
Oggi è stata una giornata interessante. Ieri sera mi sentivo prossima all'esaurimento. Mi chiedevo a quale causa mi fossi votata per aver scelto di passare il mio agosto in una città che non potevo neppure vedere, chiusa in un appartamento afoso e sempre più sporco, sudata anche dopo la doccia, con un principio di cervicale dovuta alle strane posizioni assunte per rubare la connessione ai vicini. Chi me lo fa fare? C'è forse qualcosa di mentalmente sano in una scelta simile? Non c'è neppure nulla di eroico in una scelta simile, o di utilitaristico. Non ho nemmeno un buon lavoro qui, al momento ad essere precisi un lavoro non ce l'ho proprio. In ogni caso, per non sbagliarsi, non sarà pagato. 
Molto tardi, un bel po' dopo l'inizio del coprifuoco, la ragazza marocchina e suo cugino si erano affacciati alla porta della stanza sfoggiando cappellini con la visiera e trascinando valigie . Mi auguravano un buon fine settimana, erano in partenza per Sharm el Sheikh. Mi avevano colta talmente di sorpresa che non mi era neppure venuto in mente di chiedere loro come pensavano di arrivarci, a Sharm el Sheikh. Le strade percorribili in macchina ed autobus erano bloccate per via del rischio attentati in Sinai, lo sono tutt'ora. Riguardo ai voli, li avevano controllati la sera prima davanti a me convenendo che fossero tutti troppo cari. Mi ero sentita sola e triste perché la musica maghrebina dance che mi propinavano di continuo era pur sempre un sottofondo, e le altre due coinquiline passano tutto il tempo rinchiuse nella loro cella frigorifera, unica stanza dell'appartamento raffreddata a livelli malsani da un impianto di condizionamento. Poco dopo, le ultime pagine di Addio alle armi mi avevano rattristata incredibilmente atterrando completamente il mio umore e rendendomi empatica a livelli raggiunti forse da bambina con la lettura dei Ragazzi della Via Pal. Perchè?? Perchè Hemingway aveva scritto un finale così crudele? Non era bastato il bambino, era stato proprio necessario far morire anche Catherine? Era così bella! I medici avrebbero dovuto trovare il modo per salvarla! Erano talmente felici assieme, quei due! Lo stato di prostrazione emotiva che mi ha condotta al sonno sfiorava il patetico per intensità ed assurdità.


Ma oggi, dicevo, è stata una giornata interessante. Sono scesa a fare colazione al café dove ho recentemente trascorso ciò che avanza del tempo che passo a casa. È un posto sobrio, ben climatizzato, i proprietari sono gentili e c'è la rete wifi gratis. Se si evitano i sandwiches al pollo e pure quelli al tacchino, per il resto credo si possa rimanere abbastanza soddisfatti. Oggi si è seduta al tavolo accanto al mio una famigliola locale dall'aria benestante ed allegra. Padre robusto, madre matronale, velata ed imbellettata, bambina vestita di rosa dall'aria smorfiosa e piccolino di casa indaffarato al game boy. Il padre è stato incredibilmente cortese, mi ha chiesto da dove venissi e di cosa mi occupassi (di niente! Non mi occupo di niente di qui a qualche giorno!), mi ha presentato uno per uno i membri della propria famiglia cercando di coinvolgerli nella conversazione, ma ho notato che sono stati presto tutti contenti di estraniarsene. Poi ha iniziato a parlare della crisi politica interna al Paese. Credo fosse interessato a conoscere il mio punto di vista esterno, ma io lo ero di più di conoscere il suo e ho lasciato che si dilungasse nel suo inglese marcatamente arabo. Ha premesso di non amare i Fratelli musulmani e di non averli votati. Si è detto religioso ma convinto che la commistione tra religione e politica non abbia mai portato a nulla di buono nella storia. Nonostante questo , diceva, quello che sta succedendo non è ammissibile. C'erano stato 4500 morti, lo sapevo? La gente avanzava con le mani in alto ed i cecchini sparavano, i colpi venivano rilasciati ad altezza d'uomo, da viso a viso, occhi negli occhi. Lo sapevo, certo, i giornali internazionali non parlavano d'altro e continuavo ad essere premurosamente aggiornata via messaggio. Bisognava che gli Stati Uniti e l'Europa facessero qualcosa. Questa dichiarazione mi aveva stupita, davvero volevano che per l'ennesima volta gli occidentali ci mettessero le mani? Ha proseguito e ho capito il realismo che stava alla base della sua affermazione. La caduta di Morsi aveva alle spalle un intervento della Cia, ha continuato, nessuno lo dice ma qui tutti lo sappiamo. Senza vanti, io ho le mie conoscenze signorina, e le assicuro che è così. L'America aveva troppi interessi in ballo in questo Paese per lasciare che lo stato subisse un processo di islamizzazione in grado di minare i suoi buoni rapporti con l'Occidente. Il coup era stato voluto in primis dagli americani, mi diceva. Al-Sisi è un burattino nelle loro mani, e se gli Stati Uniti prendessero una posizione netta contro le violenze, chiedendo in maniera perentoria di fermarle, lui eseguiebbe a testa bassa. Io sono contrario a queste inferenze esterne, diceva, ma è ora che gli USA usino il loro potere per far qualcosa di buono e far fermare il massacro. Altrimenti, sarà una guerra civile. L'Egitto, lo sa signorina, è il paese arabo più popoloso, e ha da sempre un'enorme quantità di interazioni di varia natura con l'Occidente. Se sprofondiamo nel baratro, se ci capita quello che sta capitando alla Siria, mi diceva, ci trasciniamo dietro tutti gli altri. Le conseguenze politiche sarebbero imprevedibili ma quelle economiche facilmente deducibili. L'ho ascoltato interessata, non sono mai stata una complottista integralista, credo che spesso l'intervento esterno si sommi a tanti altri fattori, ma parlava con cognizione di causa, era lucido ed equilibrato nelle sue analisi. Ero contenta che il primo egiziano con cui discutevo della situazione sostenesse posizioni nelle quali potermi ritrovare, che anche lui ponesse l'accento sulle violenze, sul rispetto dei diritti politici. Noi occidentali ci entusiasmiamo sempre quando abbiamo conferma esterna di quello che ci hanno insegnato ed in cui, tutto sommato, ingenuamente crediamo: non c'è ragione che tenga davanti al non rispetto dei diritti umani, civili, politici. I diritti umani piacciono a tutti, devono piacere a tutti, sono i diritti di tutti, sono diritti universali! Ho salutato la famiglia con sorrisi soddisfatti, felice di averci capito qualcosa. 


Nel pomeriggio è passato a prendermi Duha. Duha è uno dei membri della disorganizzata associazione che mi ha portata qua e nei cui ingranaggi sono sfortunatamente rimasta incastrata. Non sarebbero riusciti ad accompagnarmi a Giza nemmeno oggi, mi diceva, però voleva portarmi fuori e farmi distrarre un po'. È passato a prendere me e l'altra coinquilina con la sua bella macchina profumata. È un ragazzo alto, veste bene e ha maniere affabili. In sua compagnia le differenze culturali di superficie si riducono al minimo, fino a quando non finiamo a parlare di politica. Gli chiedo cosa ne pensa di tutto questo, e so già cosa voglio sentirmi dire. Ma lui dice qualcosa di diverso, e rabbrividisco. Si, ci sono stati dei morti e gli dispiace. Ma è la storia che torna circolare, bisogna sacrificare qualcuno perché gli altri riescano a stare meglio. E se sono morti, in fin dei conti, è perché se la sono cercata. Parlava con naturalezza e convinzione, guidava veloce e sicuro. Ho ribattuto con un flebile “io sono comunque contraria alle violenze” che è risuonato ridicolo, vuoto e stonato. Siamo finiti a bere frappè in un posto con le poltroncine foderate in stoffa e i muri arancioni. La compagnia era allegra e dava corda all'istrione del gruppo, un ragazzo slavato che faceva battute cretine e mi dava sui nervi. Finalmente avevo sdoganato l'isolato, e la macchina. Sentivo i nervi rilassarsi ma la mente ripercorreva le parole ascoltate che mi avevano seccato la gola. In fin dei conti, chi sono io per dare lezioni ad un egiziano su come dovrebbe pensarla riguardo al proprio Paese? Le due ragazze del gruppo avevano occhi profondi e bellissimi ed un sorriso dolce. Mi hanno chiesto di me, di cosa mi avesse portata qui e non altrove, che cosa pensassi dell'Egitto. Ho colto l'occasione per chiedere a loro, cosa ne pensassero. Io d'altronde avevo visto e sentito così poco, non potevo pensarne molto. E poi, forse, avevo bisogno di sentirle vicine a me oltre la condivisione di un frappè e della stessa pettinatura. Sono cresciuta con quelle convinzioni naif secondo cui se il mondo fosse nelle mani delle donne tutto funzionerebbe meglio, non ci sarebbero guerre, ovunque regnerebbero armonia e collaborazione. E' irriducibilmente uno dei pilastri su cui ho formato il mio idealismo, che purtroppo o per fortuna non mi ha mai abbandonata del tutto. Cerco sempre di contrapporvi una storiella riportatami non mi ricordo da chi tanti anni fa. Riguardava una femminista dura e pura della prima guardia, di quelle che bruciavano i reggiseni; quando le venne chiesto in un'intervista se avrebbe preferito che la pena di morte venisse abolita o che la professione del boia venisse aperta anche alle donne, rispose senza esitazioni “senz'altro la seconda opzione”. Non c'entra molto ma alla fine c'entra sempre, mi riporta alla concretezza del fatto che, ben lungi dall'essere creature potenzialmente migliori, siamo semplici figlie dei nostri tempi e della nostra formazione, buonista o meno che sia. 
 Questo è quello che l'Egitto si merita, ha esordito una delle due ragazze, minuta e coi capelli lunghi. Abbiamo aperto le carceri, fatto uscire migliaia di delinquenti e abbiamo eletto uno di loro Presidente, ha continuato, cosa potevamo aspettarci? Non l'ho interrotta. Non le ho detto che credevo le cose fossero andate un po' diversamente, e che Morsi e molti dei Fratelli musulmani erano prigionieri politici e non comuni delinquenti. Seppur ancora una volta fedele alla mia versione dei fatti, che diritto ho io, di dare lezioni agli altri? Anche l'altra ragazza si è fatta spazio nel discorso, premettendo di essere inorridita dalle violenze degli ultimi giorni, come si potrebbe non esserlo? Ma i Fratelli musulmani sono pericolosi, ha continuato, e se si fossero fermati prima tutto questo non sarebbe successo! Erano mesi che bloccavano le normali attività cittadine, che seminavano il terrore, che minacciavano la sicurezza girando armati. Vorrei vedere se non la penseresti come noi, mi ha detto guardandomi fissa negli occhi, se il tuo Paese fosse in ostaggio di una minaccia terrorista.
Bevevamo frappè alla fragola e ridevamo assieme; ma c'era un muro abbastanza spesso tra di noi, e quel muro si chiamava storia o forse cultura politica o forse solo fortuna di essere nate al posto giusto nel momento giusto, o il suo contrario.
Quelle ragazze dai sorrisi dolci sono cresciute in un regime militare che, ai loro occhi, è stato il migliore dei mondi possibili. Il migliore perché l'unico che hanno avuto la possibilità di vivere, a parte il breve inframezzo di Morsi. Inframezzo durante il quale, tra l'altro, hanno visto i propri diritti di donne libere e indipendente minacciati dall'ondata religiosa di ritorno.
So come la penso, la linea che posso tracciare tra ammissibile e non ammissibile è netta, e la repressione violenta sta dalla parte delle cose inammissibili. 
Quello che non so,  su cui non avevo mai riflettuto prima, è se al posto di quelle ragazze sarei tanto migliore.






3 commenti:

  1. davvero interessante quello che racconti della tua esperienza, Silvia! Grande

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  2. Scrivi in una maniera incredibile, da pelle d'oca. Amo la tua ironia. Non so quanto possa valere l'interesse di una ragazzina di appena quindici anni a quello che ti succede, ma volevo dirtelo. Un abbraccio.

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    1. le tue parole mi lusingano, soprattutto perché sono ben scritte.
      Grazie davvero

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